Il Quadro europeo delle Competenze chiave

Il ruolo della Scuola oggi non è solo quello di fornire conoscenze disciplinari, ma di accompagnare lo studente nell’acquisizione di Competenze fondamentali che gli saranno utili nell’arco della sua vita. Un principio alla base della garanzia di equità nella Scuola e ribadito anche nell’ambito del dibattito europeo sulla formazione degli ultimi anni.

Il quadro europeo delle competenze chiave

Nel dicembre 2017, il Consiglio europeo, il Parlamento europeo e la Commissione hanno lavorato per l’affermazione dell’importanza della dimensione sociale, educativa e culturale delle politiche della UE, definendo i 20 principi del pilastro europeo dei diritti sociali per un’Europa equa, inclusiva e ricca di opportunità.

È proprio il primo principio ad affermare:

Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro.

Il lifelong learning e la promozione dello sviluppo delle competenze, oltre a rappresentare garanzia di equità nella Scuola, sono punti programmatici importanti nelle politiche europee e rispondono a una necessità sempre più stringente per gli allievi: quella di tenersi al passo con i tempi, acquisendo competenze che permettano di fronteggiare con fiducia le trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche che si succedono a ritmo incalzante e stravolgono gli scenari nel giro di pochi anni. 

Ma quali sono le strategie educative per lo sviluppo delle competenze, a che punto si trova la Scuola in Italia e in Europa e cosa significa, oggi, essere competenti?

La didattica per competenze e l’equità

La formazione scolastica punta a promuovere l’equità tra gli studenti, ma questo non significa supportarli nel raggiungimento degli stessi obiettivi, né perseguire lo stesso livello di conoscenza per tutti, bensì aiutarli a conquistare lo stesso livello di competenze.

Una didattica che ragiona per competenze permette alla scuola di governare la presenza in classe di diversi bisogni educativi, stili di apprendimento, canali percettivi e forme di intelligenza, concedendo a tutti gli allievi le stesse opportunità di successo.

Se questo non avvenisse, l’equità verrebbe meno, perché i ragazzi provenienti da famiglie con un background socio-economico-culturale più fragile avrebbero minori opportunità di formare le competenze al di fuori dal perimetro scolastico (attraverso esperienze di vita, culturali e relazionali altre che invece hanno la possibilità di vivere i più fortunati).

La situazione in Europa e in Italia

Sono molte le indagini che, nell’ultimo decennio, hanno confermato come in Italia e in Europa una quota elevata di studenti e di adulti disponga di competenze di base a un livello non adeguato.

Il Rapporto della Commissione europea intitolato Education and Training Monitor 2016 dimostra che, in alcuni paesi europei, fino a un terzo degli adulti possiede competenze alfabetiche e aritmetico-matematiche solo ai livelli più bassi.

Nei risultati dell’Indagine PISA (dati 2015), uno studente su cinque non è in grado di completare le attività di Lettura di base e la quota è leggermente superiore per le Scienze e la Matematica, in particolare tra gli alunni provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati.

I dati dell’ultima Rilevazione INVALSI hanno evidenziato come la pandemia possa avere aggravato il problema del raggiungimento delle competenze fondamentali, soprattutto in alcuni territori.

In molte regioni del Mezzogiorno oltre la metà degli studenti non consegue nemmeno la soglia minima di competenze in Italiano (Campania 64%, Calabria 64%, Puglia 59%, Sicilia 57%, Sardegna 53%, Abruzzo 50%).

In Matematica le percentuali di studenti sotto il livello minimo di competenza crescono ancora (Campania 73%, Calabria e Sicilia 70%, Puglia 69%, Sardegna 63%, Abruzzo 61%, Basilicata 59%, Lazio 56%, Umbria 52%, Marche 51%).

Le percentuali di allievi che non raggiungono il traguardo previsto al termine dell’ultimo anno della Scuola secondaria di secondo grado (il livello B2 del QCER) divengono molto preoccupanti, se non addirittura drammatiche, in Inglese sia per il Reading sia per il Listening.

L’evoluzione del concetto di competenza nell’ultimo decennio

La promozione dello sviluppo delle competenze, come abbiamo visto, rappresenta uno degli obiettivi principali nella prospettiva della creazione di uno spazio europeo dell’istruzione in grado di “sfruttare a pieno le potenzialità rappresentate da istruzione e cultura quali forze propulsive per l’occupazione, la giustizia sociale e la cittadinanza attiva”.

Il Consiglio dell’UE aveva già delineato le Competenze chiave per l’apprendimento permanente in una Raccomandazione del 2006 ma 12 anni dopo, in ragione della presenza di nuovi scenari e della persistenza di gravi difficoltà nello sviluppo delle competenze di base, ha adottato un nuovo documento.

La Raccomandazione del 2018 affronta la necessità di sempre maggiori competenze imprenditoriali, sociali e civiche e la necessità di un sostegno sistematico al personale didattico, per introdurre “forme nuove e innovative di insegnamento e apprendimento”.

Rappresentazione grafica del raffronto tra le Raccomandazioni del Consiglio dell'Ue sulle competenze chiave: 2006 VS 2018

Rappresentazione grafica del raffronto tra le Raccomandazioni del Consiglio dell’Ue sulle competenze chiave: 2006 VS 2018

Un cambio di prospettiva

Quando si parla di competenze spesso si incappa in un equivoco.

Non si insegna per competenze, ma per far diventare competenti, che è tutta un’altra cosa. – spiega Anna Maria Ajello, già presidente INVALSI – Il solo fatto che si continui a usare un’espressione così fuorviante è un segno che il concetto di competenza fa ancora fatica a entrare nella pratica didattica.

È necessario operare un cambio di prospettiva.

Una competenza infatti non è qualcosa che si insegna, ma un modo di insegnare che permette agli studenti di diventare competenti.

Non si tratta più semplicemente di dare la conoscenza agli studenti, ma di aiutarli a impadronirsene attivamente. Come?

Ci sono moltissimi modi per farlo, e sta a ogni insegnante capire qual è quello giusto nel proprio caso (…) Proponendo attività che per lui/lei abbiano un significato, e che per essere portate a termine richiedano l’uso di quelle conoscenze.

Piuttosto che uno studio di tipo nozionistico, diventa preferibile utilizzare processi di apprendimento attivo, acquisire processi cognitivi più complessi, saper cercare le informazioni, valutarne fonti e credibilità, metterle in relazione e utilizzarle per individuare, capire e risolvere problemi anche in ambienti diversi dalla scuola.

Il ruolo attivo previsto dagli studenti da modelli di insegnamento centrati sull’acquisizione delle competenze rende più probabile che i ragazzi scoprano la capacità e il gusto di imparare, in maniera più autonoma, competenze che saranno loro utili per tutta la vita.

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