Ridurre i NEET per favorire il benessere sociale

Le Rilevazioni nazionali INVALSI mostrano con palese evidenza quanto e come il fenomeno dei NEET sia diffuso nel nostro Paese. Se è vero che i fattori socioeconomici del contesto di provenienza sono contribuiscono a determinare questa condizione e la che responsabilità non può essere attribuita interamente al sistema scolastico, e però vero la scuola ha un ruolo importante nel contrastarla. Ma in quale quadro ci si muove dopo la pandemia?

I dati Eurostat ci dicono che nel nostro Paese quasi un giovane su cinque, di età compresa fra 15 e 29 anni, vive la preoccupante condizione di NEET, Neither in Employment, nor in Education and training.

È un dato che assegna all’Italia una posizione tutt’altro che lusinghiera nel panorama internazionale, malgrado un miglioramento nel periodo post-pandemico rispetto al periodo pre-pandemico, quando i NEET hanno raggiunto il 23% della popolazione interessata da questo allarmante problema sociale.

Fonte: Eurostat

Le radici del fenomeno

Le numerosità più elevate di ragazze e ragazzi che non studiano e non lavorano si concentrano in modo particolare in 9 province del Mezzogiorno e prevalgono in quelle con basse competenze. D’altro canto gli studi sull’origine del problema ci dicono che una delle cause principali è il ritardo negli apprendimenti scolastici e nello sviluppo di adeguati repertori di competenze fondamentali, che preludono molto spesso all’abbandono scolastico.

La scuola, quindi, pur non potendo essere considerata la sola causa del fenomeno, ha sicuramente un ruolo importante, come le Rilevazioni nazionali INVALSI mostrano con palese evidenza attraverso i dati sugli esiti di apprendimento delle studentesse e degli studenti.

Se è vero che i fattori socioeconomici del contesto di provenienza sono altre variabili che contribuiscono a determinare la condizione di NEET, la cui responsabilità non può essere attribuita interamente al sistema scolastico, e però vero anche che

il titolo di studio dei genitori è un fattore che pesa in misura ancora troppo rilevante sui risultati conseguiti dai giovani e ciò indica che la scuola non riesce a ridurre l’impatto della diversa provenienza socioculturale.

Guardare alle competenze non cognitive. Qualche riflessione

Il quadro dopo la pandemia

Dopo le involuzioni che la pandemia ha prodotto nel sistema scolastico e formativo, dal 2021 si sono potuti cogliere i primi segni di ripresa. Questi segnali sono decisamente evidenti nel 2022, anche se si è ancora un po’ al di sotto dei livelli pre-pandemici, soprattutto al termine della scuola secondaria di primo grado.

Fonte: ISTAT

Nel Mezzogiorno i dati descrivono situazioni di forte criticità e in alcune regioni – come la Calabria, la Campania, la Puglia e la Sicilia – le allieve e gli allievi con competenze alfabetiche e numeriche insufficienti superano il 50%. Si evidenziano inoltre disuguaglianze piuttosto ampie anche in rapporto al genere.

Tra i ragazzi la quota di low performer nelle competenze alfabetiche è del 43,4%, mentre tra le ragazze del 33,5%; viceversa nelle competenze numeriche le ragazze low performer sono il 45,8% contro il 41,6% dei ragazzi.

BES 2022
Competenza alfabetica non adeguata (studenti classi III scuola secondaria primo grado) per regione. Anno scolastico 2018/19, 2020/21 e 2021/22. Valori percentuali – Fonte: ISTAT
Competenza numerica non adeguata (studenti classi III scuola secondaria primo grado) per regione. Anno scolastico 2018/19, 2020/21 e 2021/22. Valori percentuali – Fonte: ISTAT

Segnali positivi

Benché nel nostro paese sia ancora alto il numero dei giovani che escono dal percorso formativo scolastico al termine della classe terza secondaria di primo grado – gli early leaversil 2022 fa registrare un miglioramento nei NEET, la cui quota scende al 19,0% contro il 23,7% registrato nel 2019 e al 23,1% del 2021.

Giovani che non lavorano e non studiano (NEET) in Italia e in UE27 per sesso. Valori percentuali – Fonte: ISTAT

Le regioni con le quote più elevate di ragazze ed i ragazzi che non studiano e non lavorano sono tutte nel Mezzogiorno e in sette di queste si riscontrano valori che superano il 20%, come accade in Sicilia (32,4%) Campania (29,7%), Calabria (28,2%), Puglia (26,0%), Sardegna (21,4%), Molise (20,9%), Basilicata (20,6%).

In un quadro che suscita nel suo complesso apprensione un segnale positivo viene dai dati sulla ripresa della cultura, per esempio con una maggiore fruizione delle biblioteche.

Dopo il crollo dovuto alla chiusura indotta dal Covid-19 si osserva una più attiva partecipazione alle manifestazioni culturali fuori casa; anche se i numeri restano al di sotto di quelli relativi al 2019 sono comunque un segnale positivo, da cogliere e valorizzare, soprattutto nel Mezzogiorno, dove anche in relazione a questo aspetto si ha uno svantaggio territoriale.

I dati offrono certamente diversi motivi di riflessione su quanto un intervento sugli apprendimenti e sulla formazione di questi debba essere considerato strategico per agire sul fenomeno dei NEET, prevenendone l’estensione laddove appare poco presente e ancora di più agendo per una sua drastica riduzione nelle regioni in cui rappresenta invece un problema diffuso.

Le competenze dei giovani sono infatti, in ogni Paese, una forza vitale, un potenziale che un sistema sociale non può permettersi di disperdere per il proprio presente e per il proprio futuro.

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