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Intervista a Laura Palmerio, Responsabile Area 4 – Indagini Internazionali

Sottoporre gli studenti a prove nazionali oggettive non è una strana idea dell’INVALSI, né del MIUR. Prove analoghe, preparate e gestite da organismi simili, vengono effettuate ogni anno in quasi tutti i paesi avanzati. Perché? E come funziona questo mondo? Ne parliamo con Laura Palmerio, Responsabile dell’Area 4 dell’Istituto, dedicata alle indagini internazionali.

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In quali Paesi vengono effettuate prove nazionali analoghe a quelle INVALSI?

In quasi tutti i Paesi più avanzati del mondo.

Anche se l’inquadramento istituzionale degli organismi che le gestiscono può essere diverso, negli ultimi venti anni prove analoghe a quelle dell’INVALSI hanno cominciato a essere effettuate anche in altri venti Paesi europei, oltre che negli Stati Uniti e in Canada, Israele, Corea, Cile, Messico, Australia.

Perché tante Nazioni a un certo punto hanno sentito la stessa esigenza?

Per effetto della crescente competizione internazionale, che
si gioca sul capitale umano molto più che in passato e nella cui formazione la scuola ha un ruolo di primo piano.

Senza poter disporre di un unico metro oggettivo, è difficile capire se le cose vanno bene oppure possono migliorare, e dove.

Nei vari Paesi le prove servono a raccogliere informazioni confrontabili e affidabili, indispensabili per comprendere l’efficacia formativa dei diversi sistemi scolastici e utili per impostare e poi valutare le riforme della scuola.

In molti di questi, fra i quali l’Italia, grazie a una particolare stratificazione del campione, le indagini internazionali sono utilizzate anche per confronti fra differenti aree territoriali e differenti tipologie scolastiche.

Le stesse informazioni sono ovviamente altrettanto cruciali per le singole scuole, come per i singoli insegnanti.

Com’è nata l’idea?

L’ispirazione per la creazione di prove nazionali come quelle effettuate in Italia dall’INVALSI è venuta dalle indagini internazionali, iniziate già negli anni Sessanta dalla IEA – International Association for the Evaluation of Educational Achievement con l’obiettivo di comparare i sistemi educativi dei vari paesi.

L’Italia ha cominciato a collaborare regolarmente a questo tipo di indagini già dagli anni Settanta attraverso il CEDE – Centro Europeo dell’Educazione diretto da Aldo Visalberghi, e oggi lo fa attraverso l’INVALSI, che del CEDE è l’erede.

La spinta più forte è stata però la creazione, in sede OCSE, del programma PISA – Programme for International Student Assessment che tutti conosciamo.

Mentre le Prove IEA, come TIMSS per la matematica ai gradi 4 e 8 e PIRLS per la lettura al grado 4 sono prove prevalentemente curriculari, quelle PISA sono più orientate alla valutazione delle competenze.

Le indagini internazionali hanno fornito solo ispirazione, o anche qualcosa di più?

Grazie all’esperienza acquisita dalle indagini internazionali, quelle nazionali – comprese quelle italiane – hanno potuto partire da una metodologia consolidata. Alla base di ogni indagine c’è un quadro di riferimento preciso, ovvero un documento che esplicita i fondamenti teorici della rilevazione e specifica in dettaglio gli ambiti di competenza esaminati, e viene rinnovato in occasione di ogni nuovo ciclo di indagine. La preparazione dei singoli quesiti e delle prove è affidata a gruppi di esperti disciplinari che collaborano con esperti di valutazione provenienti da università e altri enti impegnati nella ricerca educativa di vari paesi. Modelli psicometrici e statistici molto avanzati vengono impiegati sia nella sperimentazione dei quesiti, sia nella elaborazione dei risultati delle prove. E poi c’è stato uno scambio continuo di esperienze, sperimentazioni e metodologie che non si è mai interrotto.

C’è collaborazione fra i vari INVALSI del mondo?

I ricercatori dei vari organismi di valutazione nazionali fanno parte di un’unica comunità scientifica, alla quale appartengono anche ricercatori universitari e di altri centri di ricerca.

Questa comunità si riunisce e discute continuamente, soprattutto in occasione degli incontri presso IEA e OCSE.

Quest’anno ad esempio c’è la International Research Conference della IEA a Copenhagen, ma tutti i progetti internazionali prevedono almeno due incontri all’anno in presenza.

Alcuni ricercatori INVALSI fanno parte di uno o più gruppi di esperti su singoli aspetti disciplinari o metodologici. Io ad esempio faccio parte del comitato che sovraintende i questionari di TIMSS, che è l’indagine IEA su matematica e scienze per i gradi 4 e 8.

Non c’è il rischio di omologare i sistemi scolastici, senza tenere conto delle specificità nazionali?

C’è un certo allineamento fra i vari paesi, soprattutto a livello metodologico. Se qualcuno sviluppa un modello statistico più raffinato, perché non adottarlo?

Nel 2018, ad esempio, il programma PISA ha iniziato ad applicare in via sperimentale il cosiddetto computer adaptive testing.

Anziché avere una prova uguale o equivalente per tutti gli studenti dello stesso grado, il sistema propone quesiti diversi in base alle prime risposte fornite. Se lo studente ha risposto bene, il sistema rende la prova più difficile, altrimenti la rende più facile. In questo modo è possibile misurare e descrivere con maggiore precisione la sua competenza.

Questa è la nuova frontiera della psicometria. Ogni paese però adatta i quadri di riferimento, le prove e le metodologie in base alle proprie esigenze e caratteristiche nazionali.

Per l’Italia, ad esempio, è molto importante indagare i gap fra le varie aree del paese. È chiaro però che i diversi paesi tendono in qualche misura a convergere, perché le esigenze della cittadinanza in una società democratica e del mondo del lavoro in un’economia avanzata sono ormai simili per tutti.


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