L’ascensore sociale passa per la Scuola?

Compito della Scuola è fornire a tutti lo stesso diritto alla conoscenza, così da permettere loro di soddisfare le proprie aspirazioni di vita e professionali. È quindi necessario che questa sia uno strumento di equità, per appianare le disuguaglianze sociali.
Ma la nostra Scuola oggi riesce ad essere equa? Ne parliamo con Roberto Contessi, autore di Scuola di Classe e docente in un istituto romano.

L’ascensore sociale passa per la scuola?
Professor Contessi, cosa significa che la Scuola italiana oggi è classista?

Ho utilizzato termine classismo per riferirmi a quei meccanismi che vincolano la posizione sociale di un individuo ai blocchi di partenza.

Classismo significa che l’ascensore sociale si è rotto, oppure è fuori uso.

E se in passato era socio-economico, oggi assistiamo ad un altro tipo di classismo: quello culturale.

Cos’è il classismo culturale?

I dati ISTAT segnalano che almeno l’85% dei giovani raggiungono il titolo di maturità. È una bella rivoluzione culturale ed esempio virtuoso di inclusione.

Però è un dato ingannevole e che non viene confermato quando i nostri ragazzi vengono messi alla prova da Istituti di indagine esterni alla Scuola.

Si riferisce ai dati INVALSI?

Non solo. C’è una convergenza sugli stessi risultati da parte di tutti gli osservatori di indagine: OCSE, ISTAT, AlmaDiploma, Fondazione Agnelli.

In sostanza, quasi quattro ragazzi su dieci sono in difficoltà, a parità di titolo di maturità.

Se poi consultiamo l’Indagine PIAAC sulle capacità di leggere, scrivere e far di conto degli italiani da 16 a 65 anni, di questi quattro ragazzi almeno tre restano deboli anche da adulti.

Altri 4 di questi hanno capacità di base ma sono in difficoltà ad avere un pensiero critico e distinguere una notizia vera da una fake news, e solo tre adulti su dieci mostrano capacità piene e consapevoli.

Quale quadro emerge dalle analisi citate?

Questa fotografia ci dice che esiste in Italia un 30% della popolazione giovane con una solida formazione: sono laureati, hanno cura del loro profilo nel senso che leggono almeno tre libri l’anno, consultano spesso un quotidiano o un sito apposito, frequentano cinema, mostre, teatri e concerti. E viaggiano.

Le indagini statistiche sottolineano però che questi hanno ricevuto un’eredità culturale dalle loro famiglie, che a loro volta avevano comportamenti virtuosi.

Il loro andamento scolastico, inoltre, è sempre stato positivo, con serie ricorrenti di buoni esiti, esattamente il contrario di quel 30% debole, riottoso allo studio e proveniente da famiglie con un bagaglio culturale sguarnito.

Questo significa che la nostra Scuola ha creato un sistema dinastico, dove un 30% di privilegiati trasmette da pari a pari notevoli strumenti di conoscenza e di competenza. Questo è il nuovo classismo culturale.

Vorrei però sottolineare che possedere una formazione di qualità non coincide più con la ricchezza: a scuola vanno male anche i figli dei ricchi.

Come siamo arrivati a questo?

Il classismo economico usava la bocciatura per delimitare una cerchia di persone capaci e meritevoli. Si trattava di un sistema selettivo, la Scuola non doveva formare ma confermava le capacità di entrata e chi si iscriveva alle scuole medie ed al liceo era disciplinato e dedito allo studio. Per insegnare bastava quindi poco sforzo didattico.

La scuola di massa, a partire dalla riforma del 1962, cambia le carte in tavola ma i metodi di insegnamento non sono mai cambiati seriamente.

L’istruzione di massa ha creato un bisogno di formazione a cui si è risposto con un titolo di studio popolare, elargito a tutti ma con la forma di un guscio vuoto in cui ognuno mette quello che ha. E, data la natura confermativa del sistema scolastico, in ogni guscio c’è tutto quello che già c’era al momento dell’iscrizione.

Il sistema dinastico è in fondo un aggiornamento del sistema selettivo.

Se ce n’è una, di chi è la responsabilità?

Spesso nel meccanismo scolastico della valutazione, invece di affrontare in modo serio le difficoltà di ogni singolo ragazzo, si creano meccanismi di lasciapassare che alla fine non scontentano nessuno.

Tutti sono contenti quando gli alunni sono promossi: i genitori, gli studenti, il preside e i professori. Di fatto, però, questo è un danno: promuovere forzatamente uno studente si configura come un furto di competenze: ti certifico quanto tu non possiedi invece di insegnartelo.

C’è chi parla di dispersione implicita di conoscenze.

Arriviamo al punto chiave: il vero problema della nostra Scuola non è la dispersione scolastica, che ovviamente è una piaga ma è ferma a percentuali grosso modo in linea con la media europea, tra il 15 e il 20%.

Il vero problema è la consegna al mondo del lavoro di tre ragazzi su dieci capaci e sette ragazzi su dieci contenti ma molto confusi: il loro titolo di studio non rispecchia quello che loro sanno veramente fare.

I dati statistici confermano tutto ciò: il Ministero dell’Istruzione comunica che ormai dal 2001 solo il 30% dei diplomati si iscrive all’università. Ma più di loro preoccupa quel 25% di ragazzi che diventa NEET, cioè non studia, non lavora e non entra in formazione.

Il titolo di studio popolare rischia di rubare il futuro ai nostri figli e nipoti.

Cosa possiamo fare per contrastare il classismo?

Molti professori rivendicano la validità del sistema selettivo e auspicano il ritorno a un maggior rigore didattico; spesso il mondo dell’università è con loro, seppur in modo mascherato.

Personalmente credo che la bocciatura possa essere un’opzione formativa, ma non ho alcuna nostalgia in una Scuola la cui dispersione scolastica era al 90% perché la bocciatura era l’unica opzione davanti alla difficoltà.

E dunque? Cosa manca alla nostra Scuola?

Alla nostra Scuola manca il recupero. Manca la fase di correzione consapevole degli errori per cercare di sviluppare quanto più possibile le competenze attese.

Di fatto, le indicazioni ministeriali obbligano a 15 ore di recupero dopo il primo scrutinio e altre 15 dopo il secondo scrutinio di giugno. Quando vengono svolte, in caso di disponibilità di fondi, il recupero non si basa su un programma personalizzato e spesso non incide sulle reali difficoltà che hanno condotto all’insufficienza.

Il tutto porta al fiorire del mercato delle ripetizioni, altro strumento classista perché ad appannaggio solo delle famiglie che se lo possono permettere o che lo ritengano utile. Credo, invece, dovremmo orientare la didattica verso il baratto dei saperi.

Come funziona questo baratto?

Cerco di organizzare lo spazio della classe, mescolando profili forti e profili deboli, dunque utilizzando il compagno di banco come un tutor. A volte, invito a formare coppie che studino insieme il pomeriggio scambiandosi i saperi, anche se ciò funziona solo entro un sistema di premialità che non è sempre semplice attivare.

Il vero punto è che il professore dovrebbe attuare piani di didattica personalizzati e l’unico modo per attuare ciò è farlo il pomeriggio oltre l’orario scolastico.

Questo può avvenire in vari modi: impartendo dei compiti ad uno studente tutor forte che alleni lo studente più debole, oppure utilizzando il rientro a scuola in una forma per cui il professore fornisca un servizio intra moenia, oppure ancora seguendo i ragazzi in modo virtuale attraverso il Registro elettronico.

La soluzione del tutor forte è molto simile ad andare a studiare dal compagno bravo prima dell’interrogazione.

Sì, solo che lo studio a casa dovrebbe essere svolto volta per volta, non tutto insieme una volta sola.

Le interrogazioni programmate penalizzano i più deboli perché sono invitati a studiare tutti gli argomenti insieme e non rendono nella verifica. Lo studente si fortifica nella regolarità dell’apprendimento.

E il servizio intra moenia?

Sono le ripetizioni svolte a scuola in orario pomeridiano: sono impartite dallo stesso docente che ha valutato una prova insufficiente e sa cosa correggere; inoltre possono essere svolte con costi calmierati.

Invece l’opzione del Registro elettronico?

Intanto, avere uno spazio di agenda per assegnare del lavoro a casa, mi permette di scrivere i compiti organizzando già il lavoro. Spesso, ad esempio, la verifica avviene sugli stessi argomenti logicamente organizzati nel Registro di classe.

Ai ragazzi più deboli posso inviare del materiale di aiuto, che loro possono scaricare a casa. Questo materiale spesso l’ho organizzato in formato audio: una spiegazione a partire da delle slide opportunamente fotografate.

Questi sistemi di formazione a distanza sono sviluppati nel formato della Kahn University, disponibile online su Google, e li ho usati anche nelle esperienze di classe rovesciata: mando del materiale audio e video da premasticare, in classe i ragazzi sono interrogati su quanto hanno capito e sulle domande che risolviamo insieme e alla fine esiste una terza fase di consolidamento dell’informazione.

Certo, nella mia esperienza la classe rovesciata implica un interesse che spesso molti ragazzi non possiedono: parliamo quindi di potenziamento delle eccellenze più che recupero delle insufficienze.

Ci sono altre risorse oltre a quelle descritte?

Vedo con interesse l’uso dei sistemi in autoapprendimento: sono le soluzioni che vanno sotto il nome di gamification, cioè usare il meccanismo dei giochi di ruolo per capire ed esercitarsi soprattutto in materie operative come la matematica o la traduzione delle lingue antiche. Questi sistemi comportano però l’assenza del docente nel controllo del lavoro.

Allo stesso tempo, qualche risultato l’ho ottenuto attraverso il sistema di stage in cui è organizzata l’Alternanza scuola/lavoro, perché è possibile che alcune passioni sopite siano accese da un incarico concreto in ambiente non scolastico.

Questo tema della passione mi conduce all’ultimo punto: il tema dell’empatia.

Non c’è dubbio che l’empatia aiuta il lavoro di docenza, ma sarebbe sbagliato esaltare il mito del professore empatico, perché la Scuola è un sistema che non deve funzionare sull’esempio di alcuni miti, ma su sistemi applicabili in qualsiasi contesto. A questo proposito, ritengo più utile l’ingaggio.

L’ingaggio?

L’ingaggio è la tecnica di concentrarsi nel lavoro in classe sui leader negativi, per poi interessarli e portarli a partecipare alle lezioni con un effetto traino su tutto il gruppo classe. Rendere partecipe un leader negativo ha un effetto straordinario sulla partecipazione di tutto il gruppo classe.


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